Le fratture da stress rappresentano un ammontare compreso fra il 4% e il 16% di tutte le fratture causate dalla corsa. La frequenza di questi tipo di incidenti nei maschi è pari all’8%, mentre nelle femmine è del 13%.
La causa delle fratture da stress è da ricercarsi nel carico ripetitivo e sub massimale dell’osso, il quale, in ultimo si affatica fino a fratturarsi.
Uno sforzo prolungato può inoltre sfociare in una frattura scomposta.
Una frattura “regolare” si differenzia rispetto a una frattura da stress in quanto, in quest’ultima, non è accaduto nessun trauma scatenante.
Le gare di resistenza, quali la maratona e il triathlon su distanza c.d. “ironman” (il nome di cui è proprietaria la World Triathlon Corporation e che sta a indicare distanze particolarmente lunghe), espongono le ossa del piede a un aumento dello stress e della tensione. Durante gli allenamenti, le forze di resistenza al suolo possono raggiungere livelli compresi fra 3 ½ a 12 volte il peso del corpo. La geometria e la densità delle ossa influenza il modo in cui l’organismo reagisce a queste forze.
Quando si tratta di discipline atletiche di fondo, alcune ossa reagiscono in modo diverso allo stress cui sono sottoposte. Per esempio, le ossa lunghe sono più resistenti alle forze di compressione, ma sembrano avere più problemi con le forze torsionali e di flessione.
Nel corso del 2010 sono stati registrati ufficialmente 500.000 tempi di maratona, con un incremento del 6,4% degli uomini e del 10% delle donne, le quali rappresentano un numero in forte ascesa nel totale di tutti coloro che terminano i classici 42,195 km (il 42% del totale è rappresentato proprio dalle donne).
Se guardiamo alla mezza maratona, i numeri addirittura sono ancora più in crescita nell’anno 2011.
Di conseguenza, se da un lato aumenta il numero dei praticanti di questi sport, dall’altro aumenta, ovviamente, il relativo numero di traumi.
Ma un’altra disciplina di fondo ha conosciuto recentemente un incremento piuttosto notevole: il triathlon “ironman” o “super lungo”. Il triathlon ironman consiste in una gara di nuoto di 3,8 km, una gara ciclistica di 180 km e una mezza maratona da 21,097 km. Si tratta di una sorta di gara di resistenza “d’elite” in quanto è caratterizzata da queste distanze “estreme”.
L’allenamento per questi eventi sportivi particolarmente duri espone l’atleta a ripetuti traumi agli arti inferiori a causa delle forze reattive del suolo. Le molte ore necessarie per essere preparati a dovere a queste competizioni pone dunque lo sportivo a essere soggetto a tutta una serie di possibili problemi connessi a infortuni e traumi.
Ma come cambia l’organismo degli atleti che praticano discipline di fondo?
Per quel che concerne le donne, possiamo subito affermare che la pratica di discipline di fondo può indurre cambiamenti a livello ormonale, il tutto nel quadro poco positivo relativo alla triade caratteristica delle atlete di sesso femminile: disturbi alimentari, amenorrea e osteoporosi.
Quest’ultima è da ricondursi all’abbassamento del livello di estrogeni che a sua volta provoca un minore assorbimento di calcio nelle ossa esponendo l’osso stesso a una probabilità maggiore di essere colpito da frattura da stress causata dalla minore densità ossea.
Le donne che hanno un numero di mestruazioni annue compreso fra 0 e 5 hanno una probabilità maggiore del 49% di essere colpite da frattura da stress. Le donne con un numero più elevato di mestruazioni hanno evidenziato una percentuale minore di fratture da stress.
Il testosterone può avere un effetto diretto sulla formazione ossea influenzando gli osteoblasti. A lungo termine l’esercizio fisico può sopprimere i livelli di base, compromettendo così la struttura ossea. Diversi studi hanno riportato una minore densità ossea nei fondisti di sesso maschile.
La relazione intercorrente fra l’esercizio prolungato e le fratture da stress negli atleti di sesso maschile non è ancora ben compresa, ma si suppone possa essere riferita al controllo ormonale, sebbene non sembri essere così determinante come per le donne.
La vitamina D
La vitamina D è una vitamina liposolubile prodotta per azione dei raggi ultravioletti che colpiscono la pelle. E’ una vitamina inerte e deve dunque subire l’idrossilazione nell’organismo.
La vitamina D favorisce l’assorbimento del calcio nell’intestino e mantiene la concentrazione di calcio e di fosfato nel siero consentendo la normale mineralizzazione dell’osso.
La diagnostica per immagini per le fratture da stress
La valutazione delle fratture da stress può essere eseguita ricorrendo innanzitutto alle radiografie. Purtroppo, però, il grado di sensibilità delle radiografie può risultare troppo basso. Ad esempio, i raggi X risultano positivi solo per il 33% delle fratture da stress dello scafoide.
La scintigrafia ossea invece ha un’efficacia diagnostica prossima al 100% e un risultato positivo potrebbe essere l’indizio anche di ulteriori problematiche.
Anche la risonanza magnetica è indicata per la diagnosi delle fratture da stress, ma il mezzo diagnostico migliore rimane senza alcun dubbio la tomografia assiale computerizzata che può inoltre essere d’ausilio nell’individuazione di lesioni dei tessuti molli.
Trattamento delle fratture da stress
Il riposo rimane senza dubbio l’opzione migliore e la sua quantità varia ovviamente in relazione alla gravità della frattura e all’osso colpito.
E’ poi consigliabile l’ingessatura per un periodo di tempo compreso fra le quattro e le otto settimane almeno, sebbene, per alcune fratture e per alcune ossa possano essere necessarie dalle dodici alle sedici settimane.
Il ritorno all’attività dipenderà dal livello del dolore e da un attento responso medico.
Il trattamento prevederà poi, per certi tipi di fratture da stress, il divieto assoluto di carico il quale sarà consentito gradualmente al progredire della guarigione.
Dal punto di vista della pratica sportiva, potrà essere praticata l’attività natatoria all’inizio (in quanto non esercita carico) per poi passare via via ad attività che prevedono carichi sempre più forti, come ad esempio lo spin bike effettuato dapprima con resistenze leggere e poi, gradualmente, con resistenze più pesanti.
Una volta che i corridori avranno superato il problema e saranno pronti per riprendere pienamente la loro attività sportiva, dovranno incrementare il chilometraggio settimanale a ritmi del 10% e cominciare a correre dapprima su superfici morbide.
L’utilizzo di un gambaletto fino al ginocchio può essere di grande ausilio in quanto ridistribuisce il peso corporeo e riduce il movimento sul sito della frattura.
Anche l’uso di un tutore può essere di aiuto in quanto esso esercita una leggera pressione sull’osso incrementando l’afflusso di sangue e favorendo così la guarigione.
Lo stretto monitoraggio del gonfiore causato dalla frattura è molto importante e deve essere posto in essere sin da subito di modo tale da evitare che i tempi di guarigione si allunghino. L’assunzione di antinfiammatori può essere all’uopo d’ausilio.
Un altro componente fondamentale del trattamento delle fratture da stress è costituito dai plantari personalizzati, i quali sono di ausilio nel controllo della pronazione sub talare.
L’uso dei plantari riesce a diminuire le forze vettoriali che attraversano il piede, alleviando le forze pressorie.
Inoltre, aiutano a ridistribuire il peso corporeo in maniera eguale su tutto il piede evitando pressioni eccessive sul sito della frattura. Alcuni studi hanno addirittura dimostrato che l’uso dei plantari non solo è di ausilio per la cura delle fratture da stress, ma anche per la loro prevenzione.
Altre considerazioni inerenti al trattamento possono riferirsi all’alimentazione, alla terapia vitaminica, alle superfici su cui si esercita l’attività motoria, all’indice di massa corporea, alla qualità dell’allenamento, all’età, alla terapia ormonale, ai fattori genetici, all’assunzione di calorie e ai livelli di calcemia.
In conclusione, osserviamo che le fratture da stress di rischio elevato sono quelle che colpiscono la corteccia anteriore della tibia e del malleolo mediale, lo scafoide, e la base del secondo e del quinto metatarso.
Le fratture da stress di rischio medio sono invece quelle che colpiscono il perone, l’osso calcaneare e le ossa metatarsali.
Un trattamento più aggressivo è consigliabile per le fratture ad alto rischio, e dunque riposo, ingessatura, divieto di carico e anche, eventualmente, intervento chirurgico.
Gli atleti che praticano discipline di fondo possono avvantaggiarsi della legge di Wolff: più forte è la pressione esercitata su un osso e maggiormente le forze allineeranno la resistenza ossea a qualsiasi forza fratturante mediante il rafforzamento della corteccia ossea. Anche l’irrobustimento dei muscoli è d’ausilio nella stabilizzazione delle ossa le quali resisteranno meglio alle fratture.
Gli atleti che praticano le discipline di fondo rappresentano un particolare sottogruppo di atleti a causa della loro elevata intensità di allenamento e di gara. Ci sono molti vantaggi nel loro allenamento estremo, ma ci sono anche alcuni svantaggi fisiologici. Attraverso la comprensione dei fattori di rischio, questi atleti possono evitare alcune delle insidiedel loro sport, tra cui le fratture da stress.